di Francesco Sblendorio

Quando nel 1951 esplose un grosso ordigno a Santo Spirito: è la storia della polveriera "Ioio"
BARI – Gli anziani di Santo Spirito lo ricordano con lo stesso nome di un popolare giocattolo per bambini, ma questo luogo rimanda a una delle pagine più nere della storia del quartiere a nord di Bari. Parliamo della Stacchini, meglio nota come "Ioio": la polveriera che il 26 luglio 1951 fu teatro dell'esplosione di un grosso ordigno bellico che provocò tre morti e diversi feriti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un episodio che ha segnato la memoria di intere generazioni di santospiritesi e che abbiamo ricostruito con l’aiuto della nipote di una delle vittime, la docente e scrittrice Rosalba Fantastico di Kastron, che ci ha spiegato anche l’origine di quella denominazione così singolare, divenuta da quel giorno drammaticamente sinistra. (Vedi foto galleria)
 
Lasciandoci alle spalle l’ex frazione, superiamo il passaggio a livello in fondo a corso Umberto e imbocchiamo la SP91 in direzione Bitonto. Dopo un paio di chilometri notiamo sulla destra una stradina che si inoltra nelle campagne, conducendoci davanti a una proprietà il cui ingresso è segnato da due colonne. Un viale ci porta quindi in un piazzale, sul quale si trova un vecchio edificio dal tetto spiovente: è l’ex Polverificio Stacchini.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Del luogo dove si consumò la tragedia non è rimasto che un rudere. La stretta porticina sembra chiusa da tempo immemorabile e a sinistra un capannone del tutto analogo nasconde qualche attrezzo agricolo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La polveriera era la succursale di uno stabilimento con sede a Firenze, il quale faceva parte a sua volta della riminese Società Adriatica Recuperi, che durante la Seconda Guerra Mondiale produceva armamenti e disinnescava ordigni inesplosi. Dopo la fine delle ostilità, proseguì proprio quest’ultimo ramo dell’attività.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Fra coloro che vi lavoravano, c’erano anche giovani reduci del conflitto. Come Antonio Fantastico, classe 1917, originario di Salice Salentino (Lecce), da poco rientrato in Italia dopo 10 lunghi anni trascorsi da soldato in Africa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Prima del servizio militare faceva l’orafo - ci racconta sua nipote Rosalba -, ma dopo la guerra, con la penuria di oro a disposizione, fu impossibile per lui riprendere tale professione. Così frequentò un corso per diventare artificiere e trovò lavoro nella Stacchini. Nel frattempo si era sposato e stava ristrutturando una casa a Palo del Colle, paese di origine della moglie che, a metà del 1951, era in attesa di un figlio. Pertanto, temporaneamente i due stavano vivendo a Santo Spirito, in corso Garibaldi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Già il primo giorno di lavoro, Antonio notò però che in quei capannoni c’era qualcosa che non andava. «Tornato a casa confidò a suo fratello, ossia a mio padre: “devo confessarti che sento la morte dietro il collo” - rivela Rosalba -. Aveva visto che il disinnesco degli ordigni non veniva effettuato in appositi locali chiusi e blindati, bensì all’aperto, senza alcuna protezione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il giorno dopo, il 26 luglio 1951, su Santo Spirito si stava abbattendo un forte temporale. A un certo punto, verso l’ora di pranzo, avvenne uno scoppio. La popolazione del borgo marinaro pensò a un fulmine caduto poco lontano, ma presto la realtà si rivelò ben diversa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Poco prima, fuori dai capannoni in pietra del polverificio, operai, dirigenti e artificieri si erano confrontati attorno a una bomba da otto quintali. «Mio zio vide delle scintille e ritenne dovesse essere ancora disinnescata – dice la Fantastico -. Altri però non erano convinti e ripeterono i controlli. Pare addirittura che uno vi si sedette sopra a cavalcioni. Pochi secondi e l’ordigno esplose facendo una strage».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Non ci fu nulla da fare per il 33enne Antonio né per i suoi colleghi Cosimo Masella (22enne di Grottaglie) e Vito Lanotte (44enne di Bari). Altre tre persone rimasero ferite e il resto del personale fuggì nelle campagne temendo nuovi scoppi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In pochi minuti la notizia giunse a Santo Spirito. «La moglie di Antonio saputo della morte del marito svenne e cadde dalle scale - rivela Rosalba -. Nonostante questo, riuscì a portare a termine la gravidanza, ma il bambino nacque con un soffio al cuore. I medici dissero che avrebbero potuto operarlo solo se avesse superato il sesto mese di vita, ma il piccolo non ce la fece».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ulteriore tragedia in una tragedia che vide i parenti delle vittime faticare non poco nel riconoscimento dei loro cari, i cui corpi vennero letteralmente dilaniati.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il giorno dopo la Gazzetta del Mezzogiorno si interrogò sulle cause dell’incidente. Il proiettile d’artiglieria non era arrivato già disinnescato, contrariamente alle attese, oppure il disinnesco era avvenuto senza adottare le necessarie precauzioni?

Seguì un processo che si concluse con la concessione di un indennizzo alle famiglie degli impiegati morti: 50mila lire per Masella e Lanotte e solo 10mila lire per Fantastico. Motivo? Era stato assunto soltanto il giorno prima della tragedia. «Non fu possibile ottenere di più – sottolinea la nipote di Antonio -, nonostante mia zia si fosse rivolta a uno dei migliori avvocati sulla piazza, quel Giuseppe Papalia che qualche anno dopo, tra il 1959 e il 1960, fu anche sindaco di Bari».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La Stacchini rimase operativa a Santo Spirito fino a metà anni 60 e dette lavoro a molti altri operai del territorio. Tuttavia la sua fama restò per sempre legata al fattaccio del luglio 1951.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Resta ora solo da capire a cosa doveva il suo particolare soprannome. Su questo si fronteggiano due ipotesi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«“Ioio” era un modo semplificato di leggere 1010, il numero civico che identificava lo stabilimento della ditta - sostiene Angelo Roncone, memoria storica dell’ex frazione -. All’epoca gran parte della popolazione non era alfabetizzata, quindi leggeva 1010 scambiando l’1 per una “I”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Di parere in parte diverso è Rosalba. «Nel maggio 1944, sempre lungo la strada tra Bitonto e Santo Spirito, saltò in aria un automezzo dell’esercito britannico che trasportava munizioni - dice -. Tra le vittime, ci furono un militare inglese e una dozzina di operai bitontini della Stacchini. Pare che il mezzo dell’esercito appartenesse al battaglione n. 1010, erroneamente letto “IOIO”. Si cominciò così a dire che erano morti “gli operai della Ioio”, intendendo per sbaglio la ditta anziché la camionetta. L’azienda cominciò quindi a essere identificata con questo nomignolo che ritornò tristemente in auge dopo il terribile episodio del luglio 1951»

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Francesco Sblendorio
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  • Rosalba Fantastico - Ringrazio Barinedita e, nel caso specifico, Francesco Sblendorio, per aver voluto riportare alla memoria una tragedia che colpì la comunità di Santo Spirito e la nostra famiglia. Tre vittime sul lavoro fra cui mio zio Antonio. Per non dimenticare.
  • Giuseppe - Anche mio padre lavorava li, e nel 1966 gli scoppiò un ordigno tra le mani lasciandolo esanime a terra. Rimase invalido al 100% con delle menomazioni gravi, ma vivo. Io avevo 6 anni, e lui 33. Ha vissuto fino al 2000, anno in cui se nè andato per sempre. Certo che Barinedita mi suscita tante emozioni, io sono Vischio Giuseppe, e lavoravo presso le acciaierie schianatico a bari, dove ho contribuito ad un vostro reportage con foto che feci all'interno negli anni 80. Bravi ragazzi continuate cosi, saluti


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